L’Istituto
del Nastro Azzurro è ad oggi l’unico Ente che può rilasciare stemmi araldici,
legalmente riconosciuti dalla Repubblica Italiana, ai propri soci.
Questa
singolarità non può che suscitare la curiosità e l’interesse dello studioso di
araldica. Dalla sua fondazione ad oggi si registrano circa 90.000 concessioni
tutte accompagnate da uno speciale diploma.
Questo
studio ha l’intento di chiarire non solo le modalità di concessione degli
emblemi ma soprattutto di approfondirne gli aspetti araldici.
L’Istituto
del Nastro Azzurro.
L’Istituto
nasce a Roma il 26 Marzo 1923 per volontà della Medaglia d’Oro Ettore Viola e
del pittore Maurizio Barricelli come “Legione Azzurra”.
Principale
intento dell’Istituto è quello di riunire in un unico sodalizio tutti i
Decorati al Valor Militare d’Italia al fine di garantire il loro mutuo
sostentamento.
Ad oggi lo
statuto inquadra due principali categorie di soci Ordinari (Decorati al Valore o congiunti di Decorati al
Valore) e Sostenitori (simpatizzanti che vogliono dare il loro
contributo e condividere gli ideali dell’Istituto). Ad essi si aggiungono
i Soci d’Onore (Reparti, Enti o Unità Militari, Regioni,
Province e Comuni decorati al Valor Militare) ed i Soci
Benemeriti (Enti e personalità distintesi per attività e benemerenze a
favore dell’Istituto, Enti e Decorati al Valore ed al Merito Civile).
Le
decorazioni al Valor Militare.
Come
recita l’articolo 6 dello statuto attualmente vigente, le ricompense al valor
militare “storiche” e per atti di valore che danno titolo all’iscrizione (socio
ordinario) sono le seguenti, in ordine di importanza:
– Le
decorazioni dell’Ordine Militare d’Italia (già di Savoia) ;
– Le
Medaglie al Valor Militare d’Oro, d’Argento, di Bronzo, la Croce di Guerra al
Valor Militare e l’Encomio Solenne ottenuto per merito di guerra;
– Le
Promozioni e gli Avanzamenti per merito di guerra e per meriti eccezionali;
– I
Trasferimenti per merito di guerra nel ruolo del Servizio Permanente Effettivo.
Ai
precedenti riconoscimenti “Storici” si Sono aggiunti nel tempo anche:
– La
Croce d’Onore alle vittime di atti di terrorismo o di atti ostili impegnati in
operazioni militari e civili all’estero ;
– Le
Medaglie d’Oro, d’Argento e di Bronzo al Valore dell’Esercito, della Marina,
dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.
Tale
allargamento si è reso necessario anche per garantire all’Istituto un solido
ricambio generazionale: il bacino dei soci iscritti andava infatti sempre più
affievolendosi, sia per motivi anagrafici sia col finire del diretto impegno in
guerra della Nazione, coinciso col ridursi repentino delle decorazioni al Valor
Militare “storiche” conferite (si ricordi per esempio che la Croce
al Valor Militare è conseguibile solo in tempo di guerra).
L’emblema
araldico.
Per
cogliere a pieno il clima che favorì la concessione da parte del Sovrano di un
emblema araldico all’Istituto, dobbiamo ricordare che Vittorio Emanuele III°,
nella piena tradizione di casa Savoia, non mancò mai di dimostrare il proprio
appoggio e la propria considerazione ai suoi soldati. La stessa celebrazione
del Milite Ignoto (Roma 1921) rappresentò un fatto senza precedenti: una salma
scelta a sorte fra undici Caduti sconosciuti della guerra 1915-1918, ebbe la
gloria di essere tumulata Roma nel monumento al Re Vittorio Emanuele II°, Padre
della Patria. Le altre dieci furono sepolte nel Cimitero monumentale di
Aquileia.
Questo
fatto, carico di simbolismo, fu l’ennesima riprova del legame indissolubile fra
Casa Savoia e le sue Forze Armate.
Questo
legame tuttavia non doveva essere sufficiente, visto il malcontento diffuso fra
tutti i reduci (molti dei quali decorati al V.M.) della prima guerra che si
sentirono, per i noti fatti storici, al margine della società, dopo essersi
sacrificati tanto per la Patria.
Fu
quindi un sincero sentimento di riconoscenza che spinse il Sovrano con il R.D.
del 21 Marzo 1923 a riconoscere ufficialmente l’Istituto del Nastro Azzurro e
con il successivo R. D. del 7 ottobre 1926 registrato alla Corte dei Conti il
15 ottobre 1926 e trascritto nel Registro Araldico del R. Archivio di Stato il
19 ottobre 1926, a concedere all’Istituto, che ne aveva fatto richiesta, l’uso
di un “emblema araldico”.
Il
testo del decreto individua prima la configurazione araldica dello stemma
dell’Istituto (definibile “base” o “generico”): “L’’Istituto del Nastro
Azzurro fra decorati al valor militare è autorizzato a far uso del seguente
emblema araldico: scudo sannitico col campo, il capo e la campagna d’azzurro
segnati con filetto d’oro”. Successivamente tratta la declinazione dello
stemma a seconda delle decorazioni conseguite dal singolo iscritto: “Sopra,
ed eventualmente, ed individualmente in corrispondenza alle distinzioni
acquisite da chi può portare l’emblema: sul campo il nastro dell’Ordine
Militare di Savoia, nei suoi colori, posto in sbarra, filettato d’oro, pei
decorati dell’ordine stesso. Altrimenti un filetto d’oro posto in sbarra. Sopra
una o più stelle d’oro, se il decorato gode di una o più medaglie d’oro al
valor militare, sotto una o più stelle d’argento, a seconda delle acquisite
medaglie d’argento. Sul capo una o più corone reali, d’oro, a seconda delle
promozioni per merito di guerra, eventualmente, ordinate in fascia. La campagna
divisa con filetti d’oro, posti in palo, corrispondenti ciascuno ad una
medaglia di bronzo”.
Quest’ultima
parte, araldicamente inedita e non del tutto chiara, denota come dovette essere
un vero rompicapo per gli araldi dell’epoca riuscire a trasferire i nastrini
delle varie decorazioni militari, dalle divise allo scudo. Forse per questo il
decreto, facendo seguito ad una “istanza” presentata dall’Istituto e
richiedente una più precisa descrizione dell’emblema, fu in tempi brevi seguito
da un secondo, molto più dettagliato, il R. D. 17 novembre 1927, registrato
alla Corte dei Conti il 31 dicembre 1927 e trascritto nel Registro Araldico del
R. Archivio di stato l’8 febbraio 1928, che recita:
”
L’emblema concesso all’Istituto del Nastro Azzurro, fra decorati al valor
militare e del quale possono fregiarsi i soci dell’Istituto stesso a seconda
dei meriti da ciascuno di essi acquisiti in guerra, modificato: scudo sannitico
timbrato di un elmo corrispondente al tipo pesante adottato nella nostra guerra
per il taglio dei reticolati nemici; detto elmo sarà ornato da fregi decorativi
d’azzurro e d’oro. Il capo, il campo e la campagna divisi da filetti d’oro ed
in azzurro, tutti o in parte, a seconda delle decorazioni acquisite da chi può
portare l’emblema; sul campo il nastro dell’Ordine Militare di Savoia, nei suoi
colori posto in banda filettato d’oro, per i decorati dell’Ordine stesso; sul
campo d’oro o su campo azzurro, se oltre a detta decorazione, l’insignito
possiede anche medaglia d’oro o d’argento. Quando manchi l’Ordine Militare di
Savoia, un filetto d’oro posto in banda. In alto a destra una o più stelle
d’oro, se il decorato gode di una o più medaglie d’oro al valor militare, sotto
a sinistra una o più stelle d’argento a seconda delle acquisite medaglie
d’argento; sul capo una o più corone reali, d’oro per gli ufficiali superiori e
d’argento per gli ufficiali inferiori a seconda delle promozioni per merito di
guerra eventualmente ordinate in fascia.
La
campagna divisa con filetti d’oro, posti in palo, in scomparti corrispondenti
ciascuno ad una medaglia di bronzo. Quando il socio è insignito soltanto di una
medaglia di bronzo, ed eventualmente di promozioni per merito di guerra, le
medaglie di bronzo vengono indicate sul campo; per una sola medaglia il campo è
tutto azzurro, con filetto d’oro posto in banda; per più medaglie è diviso da
filetti d’oro in altrettante fasce orizzontali azzurre, restando abolito il
filetto posto in banda”.
Il
testo del decreto riprende pedissequamente il parere espresso dalla Consulta
Araldica e fu trasmesso con R.R.L.L.P.P. 29 marzo 1929, fornendo una
descrizione che, confusamente, mescola la rappresentazione dell’emblema dell’Istituto
con quelli attribuibili ai singoli aderenti e sembra anzi non fare alcuna
distinzione fra emblemi personali ed emblema dell’Istituto.
Anche
con questo provvedimento ciascun decorato al Valore Militare aderente
all’Istituto aveva diritto di fregiarsi dello stemma araldico corrispondente
alle proprie decorazioni.
Il 29
marzo 1928 Vittorio Emanuele III comunicava, per il tramite della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, la formalizzazione della concessione dell’emblema
araldico: “In virtù della Nostra Autorità Reale e Costituzionale,
dichiariamo spettare all’Istituto del Nastro Azzurro fra combattenti valor
militare il diritto di far uso dell’emblema miniato nel foglio qui annesso”
Seguiva
il testo del decreto precedentemente riportato.
Infine,
una lettera del Commissario del Re presso la Consulta Araldica Pietro Fedele,
in data 29 novembre 1935, esprimeva parere positivo relativamente alla
richiesta, presentata dal Presidente del Nastro Azzurro, per l’estensione “ai
decorati di Croce di Guerra al Valore Militare, di recente ammessi a far parte
di quel Sodalizio” dell’uso dell’emblema già autorizzato per le altre
categorie di decorati.
In
tempi rapidi, il Re firmò il R. D. 19 dicembre 1935, registrato alla Corte dei
Conti il 18 febbraio 1936 e trascritto nel Registro Araldico del R. Archivio di
Stato in Roma, con il quale si rispondeva positivamente alla richiesta: “Abbiamo
decretato e decretiamo: I combattenti decorati di croce di Guerra al
Valore Militare, soci dell’Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti decorati
al Valor Militare, possono fregiarsi di uno speciale emblema al pari degli
altri Combattenti decorati al Valore Militare, precedentemente ricevuti in
quel Sodalizio”.
Seguiva
la descrizione dei simboli per il loro inserimento nello scudo
dell’Istituto: “Tale Emblema, contenuto in eguale scudo sannitico delle
stesse ornamentazioni esterne, conterrà, le caratteristiche della
decorazione che sano gli smalti di bianco e d’azzurro variamente disposti nei
modi e forme stabilite dal Direttorio Nazionale dell’Istituto a seconda che le
Croci di Guerra al valor Militare concesse al socio siano una o più e debbano
al caso accompagnarsi ai vari segni di distinzione di cui al Nostro Decreto del
17 Novembre 1927.”
L’allargamento
a questa nuova categoria di decorati inserì una nuova complicazione nel sistema
araldico dell’Istituto, negli anni infatti lo stemma del decorato di croce al
Valor Militare così come quello dell’Istituto, subì diversi adattamenti a
differenza delle decorazioni che rimarranno inalterate nella grafica sino ai
giorni nostri.
Anche
di questo decreto esiste in archivio il testo delle Lettere Patenti di
trasmissione del contenuto del decreto, alla Presidenza del Nastro Azzurro.
Tratto da “L’araldica
dell’Istituto del Nastro Azzurro” di Giovanni Onano
Dott.
Vito Mirabella
-L’inno Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro, ossia l'inno nazionale italiano, che è eseguito in tutte le manifestazioni pubbliche.
Un rivoluzionario bergamasco: Luigi Dall’Ovo
(di Edoardo Bettani e Giorgio Nozza)
Luigi Enrico Dall’Ovo nacque l’8
gennaio 1821 da una famiglia veneziana, immigrata a Bergamo pochi anni prima.
Dopo aver completato gli studi assieme al fratello Giovanni si dedicò
brevemente al commercio della seta, settore molto redditizio nella Città Alta, attività
che venne interrotta dallo scoppio dei moti rivoluzionari del 1848, nei quali
furono direttamente coinvolti entrambi i fratelli. Come accadde a Milano, anche
i bergamaschi insorsero tra il 18 e 22 marzo, contro le truppe austriache di
stanza nella città orobica. Luigi Dall’Ovo prese parte alla guerriglia che si
consumò tra le vie della città per poi dirigersi a Milano per unirsi agli
insorti nella lotta contro le truppe del generale Radetzky nei presso Porta Vittoria, oggi chiamata Porta
Tosa.
Concluse le giornate rivoluzionarie della primavera del ’48, Luigi Dall’Ovo tornò a Bergamo e si arruolò nella 1ª Legione della Guardia Mobile, soprannominata Legione Bergamasca delle Alpi. Nell’aprile del medesimo anno il gruppo di volontari venne impiegato, dal governo provvisorio di Milano, nel Tirolo con lo scopo di impedire l’arrivo di truppe nemiche inviate in soccorso al generale Radetzky. Una volta occupata la città di Trento, il governo provvisorio sperava di interrompere l’unica via di comunicazione tra Vienna e Verona, logorando di conseguenza le truppe imbottigliate nella fortezza del Quadrilatero. La mancanza di coordinamento tra gli ufficiali sabaudi e i volontari ebbe però, come risultato, una grave sconfitta: gli austriaci mandarono in rotta le piccole bande di legionari nella battaglia di Sclemo, frazione di Stenico (TN) il 20 aprile 1848.
L’insuccesso lasciò in Luigi Dall’Ovo un enorme senso di sconforto e una volta tornato in terra bergamasca, venne assegnato al 2° Battaglione della Guardia Nazionale con il grado di sergente furiere di artiglieria, destinato a posizionarsi nei pressi del Tonale in attesa di nuove direttive. Dopo la battaglia di Goito (30 maggio 1848), il comando militare piemontese iniziò a commettere errori strategici, anche a causa del mutamento politico internazionale, permettendo agli austriaci di recuperare terreno sul campo. In questa situazione, Giuseppe Garibaldi ritornò in Italia e venne investito del grado di generale dal Comitato di difesa di Milano. In piena estate, l’Eroe dei due mondi assieme a millecinquecento volontari entrarono in Bergamo dove rinforzarono le proprie linee con il 2° Battaglione della Guardia Nazionale e fu in questa occasione che Luigi Dall’Ovo conobbe per la prima volta Garibaldi. Dall’Ovo lo seguì negli scontri che si consumarono nel Varesotto fino a quando non venne siglato l’armistizio di Salasco, 9 agosto 1848, che pose fine di fatto alla prima fase della Ia Guerra d’indipendenza. Nulla si sa dell’opinione di Luigi Dall’Ovo sulla conclusione del conflitto ma si può immaginare, come del resto fu per tutti i volontari che parteciparono ai moti risorgimentali, un sentimento di forte delusione per la sconfitta subita. Nel novembre del 1848 i fratelli Dall’Ovo, entrambi con il grado di sottotenente, si unirono alla legione volontari, diretta in soccorso alla Repubblica Romana minacciata dalle forze reazionarie guidate dai Borbone. Durante uno dei numerosi scontri che si consumarono tra Frosinone e Velletri, i due bergamaschi si distinsero in battaglia tanto da guadagnarsi la promozione al grado di luogotenente e riassegnati, successivamente, alla 8° Centuria della legione garibaldina. Con l’intervento francese Roma ritornò sotto il controllo del papato e i volontari garibaldini furono costretti a ritirarsi verso San Marino, ma i fratelli Dall’Ovo decisero di non seguire Garibaldi e preferirono tornare a Bergamo.
Per quasi dieci anni i temi e lo
spirito della lotta risorgimentale furono affrontati passivamente da parte dei
fratelli Dall’Ovo fino a quando, nel 1858, Luigi aderì alla ‘Società Nazionale
Italiana’, organizzazione fondata da Gabriele Camozzi con lo scopo di
coinvolgere e arruolare uomini in previsione del conflitto contro l’impero
austriaco, che le autorità piemontesi stavano organizzando da mesi. Il fratello
Giovanni decise di non prendere parte alla nuova ‘avventura’ militare, in
quanto una volta ritornato a Bergamo nel 1849 si era sposato e aveva avuto dei
figli.
Nella primavera del 1859, Garibaldi venne convocato a Torino dal re
Vittorio Emanuele II e dal Presidente del consiglio Cavour per ricevere il comando
di un nuovo corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, in vista
dell’imminente guerra contro l’impero austriaco. Molti iscritti della «Società
Nazionale Italiana» si arruolarono nel nuovo corpo militare e tra questi vi era
anche Luigi Dall’Ovo con il grado di sottotenente. La brigata fu impegnata
principalmente nel nord della Lombardia e oltre a prendere parte a diverse
battaglie campali, i volontari riuscirono a espugnare senza resistenza le città
di Bergamo e di Brescia nel giugno del 1859. L’esperienza trionfale dei
Cacciatori delle Alpi si arrestò nel luglio dello stesso anno, nel momento in
cui fu firmato l’armistizio di Villafranca. Pochi giorni dopo, la brigata venne
sciolta e Luigi Dall’Ovo si mise a disposizione di Garibaldi per organizzare una
nuova spedizione, che sarebbe passata alla storia come la ‘spedizione dei
Mille’.
Con le annessioni degli stati preunitari del
Centro – Nord Italia al Regno di Sardegna, tra l’estate del 1859 e la primavera
del 1860, il sentimento rivoluzionario iniziò a diffondersi in Sicilia,
principalmente negli ambienti intellettuali simpatizzanti delle idee mazziniane
e antiborboniche.
In questo clima ostile verso il governo monarchico di Napoli, i piemontesi
videro la Trinacria come possibile punto di partenza per l’annessione del Regno
delle due Sicilie al resto dell’Italia. Mentre a Torino si tessevano rapporti
con esponenti siciliani, come ad esempio Francesco Crispi, a Bergamo veniva
istituita una commissione cittadina, di cui Luigi Dall’Ovo era attivo esponete,
volta a reclutare nuovi volontari da impegnare nella imminente spedizione. Dopo
mesi di preparazione, il 30 aprile del 1860 giunse nella città orobica un
telegramma (oggi conservato nell’archivio del Museo del Risorgimento di
Bergamo) dove si ordinava ai volontari di mettersi in marcia verso Genova. Il 6
maggio i Mille salparono dal porto di Quarto e dopo qualche giorno di
navigazione, con una breve sosta a Talamone, i piroscafi fecero sbarcare nei
pressi del porto di Marsala le camicie rosse guidate da Garibaldi. Luigi
Dall’Ovo fu uno dei primi a toccare la terra siciliana e da quel momento prese
parte a tutti i principali scontri, come ad esempio, la battaglia di
Calatafimi. Una volta che i garibaldini giunsero a Palermo fu necessario
riordinare le forze in campo; quindi, Dall’Ovo venne assegnato con il grado di
capitano al battaglione Dezza, comandato da Bixio. Sebbene la Sicilia fosse
quasi completamente libera dalla presenza di truppe borboniche, la situazione
sociale e politica era sfociata nell’anarchia a causa delle rivolte contadine.
Per Garibaldi non era possibile proseguire nel continente senza prima aver
sedato le varie insurrezioni: affidò a Bixio il compito di soffocare quei
focolai di rivoltosi, consolidando così la propria autorità sulla Sicilia.
Luigi Dall’Ovo affiancò Bixio per tutta la spedizione repressiva seppure, come
emerge dalle sue memorie, non approvò mai l’approccio ‘punitivo’ che venne
utilizzato verso i rivoltosi. Una volta ‘pacificata’ l’isola, l’esercito
garibaldino sbarcò in Calabria conquistando, senza difficoltà, Reggio e
successivamente iniziò la lunga marcia in direzione di Napoli. Il piccolo manipolo di soldati che erano partito da Quarto
pochi mesi prima era diventato un vero e proprio esercito: nel corso dei mesi
vi furono diversi sbarchi di volontari che andarono a rafforzare ‘l’armata’
guidata da Garibaldi. La potenza dell’esercito dell’Italia Meridionale venne
schierata nella grande battaglia di Volturno, la quale contribuì alla caduta
del debole regno borbonico. Luigi Dall’Ovo fu protagonista di diverse azioni
durante questo scontro, in particolar modo di una delle cariche più cruente,
tanto da essere promosso a maggiore proprio per il merito e il coraggio
dimostrato in azione.
Dopo l’unificazione del Regno
italiano, il comando generale dell’Esercito istituti un’apposita commissione
che aveva la funzione di organizzare un nuovo Esercito e in quell’occasione
Luigi Dall’Ovo venne assegnato al 37° Reggimento Fanteria di stanza a Novara,
con il grado di maggiore. L’approdo in un esercito fortemente gerarchizzato, e
una imminente carriera poco avventurosa, non spensero l’animo garibaldino del
bergamasco: quando si diffuse la notizia di un nuovo piano per attaccare
l’impero austriaco, Luigi Dall’Ovo era disposto a rassegnare le proprie
dimissioni per unirsi all’impresa di Garibaldi. L’eroe dei due mondi rispose
alla ‘vecchia’ camicia rossa di restare nell’esercito, ordine che Dall’Ovo
decise di seguire in segno di rispetto. A partire dal 1862 il maggiore fu
impegnato nella repressione del brigantaggio nel Meridione: in una prima
istanza fu assegnato a Sassari e successivamente venne spostato a Bivona in
Sicilia.
Allo scoppio della terza guerra
d’indipendenza, Dall’Ovo fu riassegnato come ufficiale nella “Brigata Ravenna”
e fu protagonista di alcune battaglie, la più significativa delle quali fu
l’espugnazione della testa di ponte nella località di Borgoforte sul Po.
Nonostante l’azione audace della Brigata, la battaglia venne comunque vinta
dagli austriaci e Borgoforte venne riconquistata dalle truppe nemiche. Al
termine della guerra del 1866, iniziò l’ultima fase della carriera di Dall’Ovo.
Il vecchio garibaldino non prese parte al conflitto del 1870 contro il papato,
ma nel 1872 venne promosso a tenente colonnello e assegnato al 42° Fanteria, di
stanza a Salerno, dove rimase fino al gennaio 1877. Nominato al grado di
colonnello l’anno successivo, venne trasferito a Bergamo al comando della 12°
Fanteria, concludendo così la sua carriera da dove tutto aveva avuto inizio.
Passò quindi in riserva dove ebbe il grado di maggiore generale. Alla vigilia
della pensione, il vecchio garibaldino portava sul proprio petto numerose
medaglie: le decorazioni per aver preso parte ai moti del 1848, alla seconda
guerra d’indipendenza del 1859, alla spedizione dei Mille nel 1860 e alla terza
guerra d'indipendenza del 1866. Oltre a queste, gli venne assegnato il
riconoscimento di Cavaliere dell’Ordine
Militare di Savoia e di Cavaliere della Corona di Prussia di 2ª classe. Morì all’età
di 76 anni a Bergamo il 6 aprile 1897.
Giorgio Nozza e Edoardo Bettani
Bibliografia:
·
FELICE
DE CHAURAND DE SAINT EUSTACHE, Nell’Europa del risorgimento, un bergamasco
da milite garibaldino a generale nel regio esercito italiano, Luigi Enrico
Dall’Ovo, Bergamo 1933.
·
SALVATORE
LUPO, Il passato del nostro presente, il lungo ottocento 1176 – 1913, Roma
2010.
·
RENATA
DE LORENZO, Borbonia felix, il regno delle due Sicilie alla vigilia del crollo,
Roma 2013
Istituto del Nastro Azzurro: Albo d'Oro degli Azzurri
della Federazione Provinciale di Bergamo.
Generale, OMS, Luigi Enrico Dall'Ovo di Ermenegildo e di Carrara Rosa, nato l'8 gennaio 1821 a
Bergamo.